Si fa spesso appello al “buonsenso” per giustificare provvedimenti e proposte politiche. La tendenza è trasversale: qualche mese fa, Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno definito l’allora neonato Terzo Polo come “il polo della serietà e del buonsenso”. Nicola Fratoianni ha parlato di “questione di giustizia e di buonsenso” in merito alla recente proposta del Consiglio dei Saggi tedesco di istituire una patrimoniale in Germania. Ma il politico che più di frequente parla di buonsenso è verosimilmente Matteo Salvini. Nel 2018, Salvini lanciò addirittura la “rivoluzione del buonsenso” per poi essere diffidato dal Partito Socialista Italiano che lamentava di aver già utilizzato lo stesso slogan nel 2010. Ciononostante, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non ha più smesso di appiccicare l’etichetta del “buonsenso” un po’ dappertutto, facendola diventare una cifra stilistica della sua comunicazione. Alzare il tetto dei contanti a 10.000 euro? “Proposta di buonsenso della Lega” (26 ottobre). Rottamazione delle cartelle esattoriali? “Buonsenso” (12 novembre). Sequestro dello smartphone ai bulli? “Semplice buonsenso” (13 novembre). Si potrebbe andare avanti a lungo.
Non è mia intenzione entrare nel merito di queste proposte, lasciando il beneficio del dubbio sul fatto che possano esservi solide argomentazioni a loro sostegno. Ritengo però che appellarsi al buonsenso per giustificare misure politiche, senza fornire argomenti, sia problematico e addirittura dannoso; l’impiego retorico di questa espressione nel dibattito pubblico andrebbe pertanto abolito.
Ma cosa vuol dire buonsenso? Generalmente si intende la capacità di comportarsi con saggezza e senso della misura in vista di necessità reali. È un tratto del carattere personale e ha a che fare con il senso pratico. Non è un caso che i politici che costruiscono il loro consenso attorno al mito della concretezza siano proprio coloro che si appellano maggiormente a questa espressione.
La definizione di buonsenso presuppone anche che tale capacità emerga in modo naturale e spontaneo: una specie di saggezza istintiva. Il buonsenso può quindi essere di tutti; non dipende da educazione o conoscenze specifiche. Il carattere spontaneo del buonsenso è rilevante se si utilizza quest’ultimo non tanto per giudicare la condotta di una persona, bensì l’appropriatezza di un provvedimento politico. In questa prospettiva, quando un politico afferma che una proposta è di buonsenso, intende suggerire che non serve aggiungere altro: la ragionevolezza della questione è “auto-evidente”, punto.
Tuttavia, appare quantomeno dubbio che l’appropriatezza di proposte come l’aumento del tetto al contante o la rottamazione delle cartelle esattoriali sia talmente ovvia da non necessitare ulteriori argomentazioni. La capacità di valutazione di queste proposte presuppone la conoscenza di fatti e di valori sottesi che non sono immediatamente disponibili a chiunque. Quali potrebbero essere le conseguenze dell’innalzamento del limite massimo del contante sul tasso di evasione fiscale? E quali invece le conseguenze sul rapporto di fiducia tra Stato e cittadini, se lo Stato decidesse di attuare un nuovo condono? Queste sono solo due delle molte questioni legittime che sollevano le suddette “proposte di buonsenso” e che dovrebbero invece essere affrontate più nel merito nel dibattito pubblico. L’appello al buonsenso in questa forma non fa altro che semplificare la discussione, forzando i cittadini ad assumere tacitamente che la bontà di una proposta sia auto-evidente quando in realtà non lo è affatto.
Vi è poi un altro modo di intendere il buonsenso, il quale ricalca il significato di “senso comune”. In altre parole, una proposta politica sarebbe di buonsenso poiché sarebbe ciò che è in linea con le credenze, i sentimenti e i comportamenti della maggioranza delle persone. Posto in questi termini, è ancor più chiara l’efficacia retorica dell’appello al buonsenso: le persone, infatti, tendono a preferire misure che vengono approvate da un numero elevato di persone. Inoltre, dire che una proposta è giustificabile perché è ciò che vuole la maggioranza sembra godere addirittura di un certo fascino democratico.
Un tale appello al buonsenso necessita tuttavia di evidenze empiriche, le quali spesso non vengono fornite. Il fatto che il buonsenso sia utilizzato in modo trasversale da diverse parti politiche – talvolta per supportare misure diametralmente opposte di fronte allo stesso problema – certifica questa difficoltà. Inoltre, anche se fosse chiaro che la maggioranza dei cittadini preferisce una certa prospettiva politica rispetto a un altra, non è detto che lo stesso accordo si possa riscontrare sulle singole proposte, tutt’al più se le persone non sono messe nelle condizioni di conoscere i pro e i contro delle stesse.
Infine, anche concedendo che una specifica proposta politica sia ritenuta desiderabile dalla maggioranza dei cittadini, è dubbio che il ruolo del politico in una democrazia rappresentativa sia solo quello di dare attuazione e sfogo a intuizioni, talvolta viscerali e poco informate, di una parte dei cittadini. Un politico dovrebbe sforzarsi di fornire ragioni per ciò che viene proposto attraverso argomenti puntuali e al contempo accessibili alla cittadinanza. Ciò darebbe la possibilità anche a chi non ritiene desiderabile quella proposta di riconoscere perlomeno gli argomenti a suo supporto. La democrazia non dovrebbe ridursi a essere il megafono di una parte, seppur maggioritaria, ma dovrebbe impegnarsi nell’esercizio argomentativo al fine di parlare a tutti, evitando l’emarginazione delle minoranze e promuovendo un consenso più consapevole.
Ecco perché ritengo che l’appello al buonsenso debba essere abolito. Nel dibattito pubblico questo non è altro che una foglia di fico dietro a cui molti politici si nascondono per sfuggire a un loro preciso dovere in quanto esponenti di istituzioni democratiche: fornire buone ragioni ed essere responsabili per le proposte che supportano. Beninteso, il buonsenso non va di certo abilito per decreto; è importante che i cittadini stessi comincino spontaneamente a non accontentarsi di facili strategie retoriche che hanno l’ulteriore difetto di sottintendere l’idea sbagliata di un elettorato approssimativo, superficiale e poco esigente. Non ci meritiamo forse un dibattito politico migliore?
Pubblicato su Il T Quotidiano il 30 novembre 2022