Scuola: sostituire l’ora di religione con l’insegnamento dell’etica

Nei giorni scorsi, le pagine de il T sono state animate dal dibattito sul crescente numero di esoneri dall’insegnamento della religione cattolica (IRC) in Trentino. Per fronteggiare il problema, c’è chi ritiene, come l’assessore Bisesti, che sia importante riaffermare l’importanza dell’IRC per riconoscere le nostre radici e che basti un aggiornamento dei contenuti per rendere la materia più attrattiva. Altri, come l’editorialista Ferlan, ritengono invece che uno Stato laico dovrebbe prevedere un rinnovamento radicale, mettendo al centro dell’insegnamento il fenomeno religioso in senso lato e il tema del sacro, svincolandosi dai marcati riferimenti al cattolicesimo. Non credo che queste proposte risolvano il problema degli esoneri dall’IRC. Anzi, ritengo che questo non sia affatto un problema, bensì un’opportunità per l’introduzione dell’insegnamento dell’etica.

Per prima cosa è importante osservare che l’insegnamento della religione non è solo il luogo dove riconoscere le nostre radici o dove cogliere l’importanza del fenomeno religioso, ma anche – e forse soprattutto – dove, secondo Giovanni Paolo II, “formare personalità giovanili ricche di interiorità, dotate di forza morale e aperte ai valori della giustizia, della solidarietà e della pace, capaci di usare bene della propria libertà”. l’IRC è quindi un luogo dove educare a principi e valori morali.

Questo fatto non stupisce: storicamente, le confessioni religiose si sono fatte interpreti dell’orizzonte valoriale dell’individuo e della società poiché la condotta morale era rilevante per la salvezza spirituale. In altre parole, le Chiese hanno assunto il ruolo di “agenzie etiche”, promuovendo principi non negoziabili e incidendo sul comportamento dei fedeli. Una tendenza, questa, corroborata proprio dall’introduzione dell’insegnamento della religione nei programmi scolastici statali di fine XIX Secolo: come osserva il filosofo Cremaschi, nonostante le élite europee dell’epoca fossero laiche e talvolta in aperto contrasto con le Chiese cristiane, esse videro nell’insegnamento della religione il modo più semplice per contrastare la supposta mancanza di disciplina morale e sociale dovuta all’urbanizzazione e la diffusione di idee socialiste, e per promuovere delle “condotte dignitose”.

Ma con il progressivo allontanamento della nostra società dalla religiosità, gli strumenti che l’insegnamento della religione offre per orientare il comportamento morale appaiono inadatti. Nonostante gli sforzi degli insegnanti che già da anni stanno spontaneamente aggiornando i contenuti e le modalità di insegnamento – anche nelle direzioni auspicate da Ferlan e Bisesti –, l’IRC non solo fatica a parlare a chi appartiene a una diversa confessione rispetto a quella cattolica, ma anche a chi non aderisce a nessun credo. I principi veicolati dall’IRC parlano quindi a sempre meno persone, soprattutto se si considerano le nuove generazioni, figlie di società plurali dove i valori in gioco sono diversi e talvolta contrastanti. Questo scenario ha condotto alcuni a sostenere che le discussioni morali dovrebbero essere addirittura relegate alla sola sfera privata.

Tuttavia, anche da una prospettiva laica si deve riconoscere l’importanza di una riflessione sul nostro orizzonte valoriale al fine di favorire una cooperazione pacifica e il rispetto reciproco tra individui di culture e prospettive morali diverse. Riflettere sui valori è importante anche perché questi sono pervasivi e quindi non si possono ignorare. Ogni scelta pubblica o privata è guidata in modo più o meno consapevole da valori e, pertanto, in ogni gruppo sociale osserviamo delle norme, dei principi, degli ideali di virtù che sono generalmente apprezzati. Questi aspetti informano le nostre scelte personali e collettive; perciò, avere ben chiaro quali sono i valori in gioco è importante anche per prendere delle decisioni informate nel contesto pubblico.

Insomma, se i valori non si possono evitare, tanto vale cercare un modo appropriato per parlarne. Per questo si rende necessaria l’introduzione di un nuovo insegnamento, il quale fa riferimento a una tradizione filosofica che tuttavia ha giocato un ruolo laterale nel modo in cui le masse hanno concepito la moralità. Mi sto riferendo alla disciplina dell’etica intesa come riflessione sui principi e sulle norme di comportamento di un dato gruppo sociale con l’obbiettivo di difenderne o di criticarne e correggerne il contenuto. L’etica ricerca la giustificazione delle norme morali non tanto nell’autorità divina bensì nelle buone ragioni, ovvero ragioni ben argomentate, prive di fallacie, non in contrasto con fatti scientifici e aperte a una continua revisione. In quanto strumento critico, l’etica esclude qualsiasi forma di indottrinamento o moralismo non solo da parte di confessioni religiose, ma anche da parte di autorità statali; è quindi un approccio che può valere per tutti – sia per i non credenti sia per i credenti – in un orizzonte laico, plurale e non dogmatico.

L’etica ci costringe all’esercizio del dialogo tra prospettive morali differenti in cui la diversità non è motivo di esclusione – come nei fatti avviene per l’IRC dal momento che chi non è cattolico spesso decide di richiedere l’esonero –, ma un’opportunità per mettere gli studenti nelle condizioni di rivolgere uno sguardo critico sul proprio orizzonte valoriale, sugli insegnamenti ricevuti nel proprio contesto socioculturale e sugli insegnamenti che hanno ricevuto altri in un differente contesto. È proprio nella prospettiva del riconoscimento delle buone ragioni dell’altro che si evita la polarizzazione ideologica su temi etici altamente divisivi e si promuove il rispetto reciproco. Nessuna prospettiva morale è quindi esclusa dal dialogo, nemmeno quelle di derivazione religiosa, a patto che queste non difendano le proprie conclusioni in base all’autorità divina, bensì attraverso il dialogo razionale al pari di qualsiasi altra prospettiva.

Ma cosa si dovrebbe insegnare nell’ora di etica? Molti paesi europei hanno già percorso questa strada e possono rappresentare dei modelli a cui ispirarsi. Credo che l’indicazione generale possa essere quella di promuovere il ragionamento e l’argomentazione attorno ai nostri giudizi morali e l’analisi critica dei fattori che li determinano, come gli aspetti emotivi, evolutivi, esperienziali e culturali. In questa prospettiva, non si deve avere la pretesa di insegnare cosa sia incontrovertibilmente giusto o sbagliato, ma piuttosto offrire uno strumento per sistematizzare, concettualizzare e soppesare gli aspetti moralmente rilevanti. In tal modo in classe si potranno affrontare, partendo dai problemi concreti che le persone e le istituzioni affrontano quotidianamente, questioni morali che possono essere antiche quanto il mondo – dobbiamo dire sempre la verità? – oppure inedite, come le sfide che emergono dal continuo sviluppo tecnico-scientifico.

Questa nuova materia dovrebbe essere offerta nel breve periodo come alternativa facoltativa all’IRC, come proposto da una mozione presentata da Rossi in Consiglio Provinciale nel gennaio 2022 e che ho contribuito a redigere in qualità di consulente. Tuttavia, le ragioni che ho presentato mi impegnano a sostenere un’ulteriore conclusione che qui riporto come un personale auspicio per il futuro: l’abolizione dell’IRC e la sua sostituzione con l’insegnamento dell’etica. Questo sarebbe un modo, anche se non l’unico, per risolvere il controsenso della presenza dell’educazione religiosa nell’istruzione pubblica di uno Stato laico.

Pubblicato su il T Quotidiano il gennaio 2023

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