Il Trentino, l’autonomia differenziata e la difesa del fortino

Si sta parlando da giorni del disegno di legge sull’autonomia differenziata, il quale ha ricevuto una prima approvazione dal Consiglio dei Ministri il 2 febbraio scorso. Il ddl permetterà alle regioni ordinarie di legiferare pienamente su alcune materie che altrimenti sarebbero o di competenza dello Stato centrale o limitate da esso. In Trentino, il dibattito si è principalmente concentrato sulla valutazione dei pericoli che questa legge potrebbe avere per la nostra autonomia. Per alcuni, la possibile autonomia differenziata delle altre regioni sarebbe una minaccia perché, così facendo, la specialità del Trentino diverrebbe “più ordinaria” di quanto invece non lo sia ora, rischiando un processo di omologazione. Si è anche parlato dell’autonomia differenziata come di un “Cavallo di Troia” per scardinare la specialità del Trentino. Di contro, altri hanno sostenuto che questa legge non rappresenterebbe un effettivo pericolo per le istituzioni dell’autonomia speciale.

Non è intenzione di chi scrive entrare nel merito e fornire ragioni favorevoli o contrarie al ddl proposto dal Ministro Calderoli. Al riguardo, ci si limita a osservare che sono state avanzate perplessità anche da sostenitori di un modello federalista o decentrato di Stato. Il giornalista Oscar Giannino, per esempio, ha evidenziato criticità sia sulla scelta delle 23 materie previste dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione su cui richiedere maggiore autonomia – introdotte nel 2001 con la riforma del titolo V da un governo di centro-sinistra – sia sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (lep): è infatti difficile formulare un giudizio nel merito sui rischi di un ulteriore aggravio dei divari nei servizi pubblici essenziali tra nord e sud, finché non sarà definita la metodologia in base alla quale si intendono calcolare e determinare i lep. Inoltre, non si vuole nemmeno affermare che una valutazione delle ricadute di questo ddl sul nostro statuto speciale sia inutile; tutt’altro.

Qui, piuttosto, si vuole proporre una riflessione sul modo in cui in Trentino sempre più spesso viene affrontato il dibattito più generale sui principi di autonomia e di responsabilità e sul modello di autogoverno ogniqualvolta altre regioni reclamano maggiori competenze e più decentramento. È possibile rilevare un diffuso orientamento a livello locale in base al quale la risposta a queste sollecitazioni viene data in termini che potremmo definire da “realpolitik”: quello che importa è preservare lo status quo, con la conseguenza che qualsiasi sviluppo nell’assetto istituzionale viene interpretato ogni volta nell’ottica della potenziale minaccia per l’autonomia trentina. Tuttavia, questo approccio è profondamente problematico. Se ci si limita a valutare ogni discussione nella logica “della difesa del fortino”, si rischia di far scivolare la percezione dell’autonomia trentina nella distorta prospettiva di un privilegio indebito. Per certi versi questo sta già avvenendo: sebbene “privilegio” sia una parola che riporta subito alla mente trattamenti preferenziali e ingiustificati, nel dibattito pubblico trentino viene sovente utilizzata da alcuni politici locali senza che questo desti particolare scalpore. Ma ciò non fa altro che evidenziare l’incapacità del nostro dibattito pubblico e di parte della nostra classe dirigente di affrontare questo tema in modo lungimirante e appropriato, certificando così una certa fragilità dell’autonomia trentina stessa.

La discussione di questi giorni dovrebbe essere l’occasione per parlare di autonomia trentina evidenziando che essa ha motivo di esistere per ragioni che si basano sul principio di giustizia, contrapponendo queste ultime alla narrativa che la vede come un privilegio – da mantenere secondo noi, da cancellare secondo i nostri vicini. In altri termini si dovrebbe dimostrare che le opportunità e il maggiore benessere di cui ha goduto e gode tutt’ora il Trentino non sono il frutto di una ingiustificata posizione di vantaggio, ma dell’esercizio di funzioni che non sono solamente legittime da un punto di vista giuridico e costituzionale (ovvero “sulla carta”), ma che soprattutto rappresentano un modello di gestione politica e di valori civili da promuovere nel dibattito nazionale. Rendere ragione dell’autogoverno trentino significa quindi prendere necessariamente una posizione anche sui rapporti tra governo nazionale e comunità locali che non riguardano direttamente la nostra Provincia. Pertanto, il dibattito pubblico trentino dovrebbe non solo valutare le ricadute sul nostro territorio, ma promuovere una riflessione più articolata che concepisca l’autonomia trentina in un sistema più ampio con cui, piaccia o meno, ci si deve confrontare.

Abbandonando la logica del mero privilegio, della difesa del fortino, si delineano due posizioni che possono essere sostenute quando si discute di governo regionale differenziato e al tempo stesso si vuole difendere la sostenibilità dell’autonomia trentina.

Se si intende affermare che la possibilità di prevedere maggiore autonomia per le regioni ordinarie non è qualcosa di auspicabile, si dovrà inevitabilmente rendere conto della specialità trentina. In altre parole, si dovrà rispondere alla domanda che provocatoriamente Enrico Mentana fece qualche anno fa in un intervento pubblico a Trento e che qui riformulo: che differenza c’è fra una persona che abita a Borgo Valsugana e una che abita ad Arsiè in provincia di Belluno? E la risposta non potrà fare appello soltanto alle tradizioni, alla cultura e alla storia, o alla specificità dei territori di montagna, ma sarà necessario uno sforzo ulteriore che effettivamente renda conto di quella diversità che determina oggi un trattamento “speciale”.

In alternativa, sulla scorta del pensiero di Luigi Sturzo e Luigi Einaudi, si potrà giustificare l’autonomia trentina fornendo buone ragioni a favore di un assetto istituzionale che vede nella responsabilità e in un modello avanzato di autogoverno una risorsa per il cittadino e per il Paese. In altri termini, uno strumento migliore di altri per avvicinare i cittadini alle istituzioni e per allocare le risorse in modo più efficiente, equo e sostenibile, assicurando al tempo stesso maggiore legittimazione e controllo dell’operato della dirigenza politica; uno strumento che renderebbe conto anche del policentrismo autonomistico che permea la nostra Costituzione. In questa direzione, il Trentino e l’Alto Adige possono costituire un modello, un esempio di buona pratica che informa le scelte della politica nazionale. Ovviamente, chi sostiene questa posizione dovrà affrontare le canoniche critiche che vengono fatte al sistema dell’autogoverno territoriale che già sono quotidianamente agitate nel dibattito nazionale.

Non è questo il luogo per approfondire la bontà delle due posizioni presentate sopra; ciò che è importante sottolineare è che se rinunciamo a farci portatori di buone ragioni nel dibattito sull’autonomia differenziata e quindi sulla giustificazione dell’autonomia trentina, sia a livello locale sia a livello nazionale, non ci rimane altro che arroccarci dietro alla logica del mero privilegio, che vede un potenziale pericolo in ogni possibile cambiamento dell’ordine prestabilito. Ma questo approccio, oltre a essere profondamente ingiusto – in primis nei confronti del Trentino stesso – è anche sterile e inefficace, poiché nasconde il rischio di una profezia che si autoavvera: se non si offrono solide ragioni per giustificare la nostra autonomia, sarà più facile che essa venga percepita sia dai trentini sia dal resto degli italiani come un fragile e ingiustificato privilegio, aumentando così la pressione per il suo depotenziamento.

Pubblicato su Il T Quotidiano il febbraio 2023

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